L’appartamento condiviso al nero a Bruxelles

L’appartamento condiviso al nero a Bruxelles

Bruxelles, Stazione Midi, una domenica pomeriggio di febbraio umida, ma non eccessivamente fredda. Il Tgv Thalys proveniente da Parigi mi ha condotto a destinazione in perfetto orario, ma il viaggio su una comoda poltrona di prima classe (un upgrade scoperto solo al momento di salire sul treno) non è stato dei più rilassanti. Alla stazione di Paris Nord, mentre attendevo la partenza, mi era arrivato il messaggio della proprietaria dell’appartamento, che mi comunicava il civico esatto ed il citofono a cui bussare. Ne presi nota, e, per ingannare l’attesa, andai a rileggermi il voucher rilasciato da Booking. La discrepanza tra i civici non era un problema: i due indirizzi distavano meno di cinquanta metri. Mi colpì piuttosto una postilla che, al momento della prenotazione, non avevo notato: al termine della descrizione dei servizi riservati c’era scritto, in piccoletto: “Attenzione: il proprietario vive nell’appartamento“. Possibile che non me ne fossi accorto? L’anno prima avevo prenotato una struttura simile a Budapest, e mi ero trovato a meraviglia: appartamento con due camere da letto, due bagni e cucina, con spa e palestra a disposizione degli ospiti. Il tutto a prezzi modici. Nello scegliere l’alloggio a Bruxelles, avevo deciso di optare per una soluzione simile: niente spa, ma ampia metratura, posizione centralissima e soprattutto una tariffa vantaggiosa rispetto alla media della capitale belga. Difficile trovare di meglio. Avrei comprato ettolitri di birra d’abbazia da sorseggiare nella vasca da bagno.

L'appartamento condiviso al nero

Una sottile pioggerellina, così leggera da rendere superflua l’apertura dell’ombrello, accompagnò il tragitto a piedi dalla stazione alla struttura. La semiperiferia di Bruxelles era immersa nell’atmosfera pigra e sonnolenta di una grigia domenica di fine inverno, e sapevo che probabilmente, prima di arrivare in centro, non avrei incontrato anima viva. Camminando, non riuscivo a scacciare via il pensiero della postilla sul voucher. Forse stavo esagerando con il mio consueto pessimismo leopardiano: Booking mi avrebbe avvertito con avvisi ben più ridondanti e visibili se davvero avessi acquistato un soggiorno in un appartamento condiviso. In dieci minuti di camminata a passo svelto arrivai nel quartiere Sablon e citofonai alla porta della proprietaria. Mi accolse una donna sulla cinquantina di origini svedesi (il cognome ed i lineamenti erano inequivocabili), vestita come una trasandata casalinga gattara: con toni cordiali ed un inglese impeccabile, mi illustrò l’appartamento, conducendomi dapprima nell’enorme salone con angolo cottura e terrazzino, poi nella mia stanza. Già, la mia stanza. Una normalissima camera matrimoniale con arredamento Ikea in stile etnico. Assolutamente uguale a quella di un qualsiasi appartamento urbano europeo. Al termine della visita, mi offrì una brodaglia al sapore di caffè preparata con una macchinetta a cialde extra-large tarata su misura sui gusti mitteleuropei e mi chiese sull’unghia il saldo anticipato dell’intero soggiorno: 250 euro, da pagare rigorosamente in contanti. Senza rilasciarmi uno straccio di fattura o ricevuta fiscale. Avrete anche la macchinetta a cialdone per preparare quella specie di sbobba che chiamate pure caffè – pensai – ma quando si tratta di praticare evasione fiscale siete molto più italiani di tantissimi italiani! Prima di andare via, mi consegnò una dispensa scritta di sua mano con i principali monumenti della città e si ritirò in quello che doveva essere un appartamento contiguo sullo stesso pianerottolo. Forse per questo sul voucher di Booking c’era scritto che il proprietario viveva lì…

L'appartamento condiviso al nero

Ma le cose purtroppo stavano proprio come avevo temuto per tutto il viaggio in treno: quando rincasai a tarda sera, dopo aver trincato non meno di tre birre diverse alla Poechenellekelder, mi spogliai nella matrimoniale e mi tuffai nella vasca da bagno bollente, per ristorare fisico e muscoli dalla lunga passeggiata e dall’umidità. Come mia abitudine, rimasi a mollo fin quando l’acqua non divenne tiepida, dopodiché mi asciugai con calma e mi rifugiai sotto le coperte. Non c’erano luci e rumori provenienti dalle altre stanze: l’appartamento doveva essere deserto. Non avevo ancora spento l’abat-jour quando sentii rumore di passi indirizzati verso il bagno. Subito dopo, l’inequivocabile gorgoglio dell’acqua che riempie una vasca da bagno. No, non ero solo. La proprietaria era lì. Il voucher di Booking non mentiva, ed io non l’avevo notato al momento di prenotare, cascandoci come un pollo. Altro che appartamento, avevo prenotato una fottuta stanza in una casa privata! Una situazione che mi catapultava in uno stato di profondo imbarazzo: ho sempre odiato ed odio dar fastidio in casa altrui, anche perché sono il primo ad essere geloso dei miei spazi. Per di più, non sono mai stato il massimo dell’ordine! Mille pensieri affollarono una notte quasi insonne, resa ancora più agitata dai continui colpi di tosse della host che dormiva, quasi murata, nella stanza accanto e da un freddo pungente che non poteva essere attutito da un riscaldamento. Non c’erano termostati, termosifoni o condizionatori estate/inverno, in camera. Al mattino, la sensazione di disagio raggiunse il suo apice quando arrivò il momento di cimentarmi nel bisogno dei bisogni fisiologici: il bagno non era finestrato, e per rimediare all’inevitabile, consumai quasi tutta la bomboletta di deodorante. Non appena lasciai il cesso, la proprietaria vi entrò per un altro giro dei suoi giri di ispezione. E meno male che non avevo intenzione di usare la cucina! Come potevo godermi una vacanza con una megera che controllava ogni mio movimento ed ogni mia azione? Sentirsi liberi in una camera d’hotel o in appartamento ad uso esclusivo, magari mangiando sul letto o bevendo una birra nella vasca da bagno è una delle gioie massime che si possono assaporare in un viaggio in solitaria!

L'appartamento condiviso al nero

Optai per l’extrema ratio: da quel giorno preferii utilizzare i modernissimi bagni pubblici vicino Grand Place per espletare le necessità fisiologiche e lavarmi, piuttosto che subire le ispezioni della host. A pagamento, certo, Ma soldi benedetti! Anche perché, più che bagni pubblici, sembravano una spa: c’erano luci soffuse, musica chillout, profumi e addirittura ledwall che riproducevano un acquario tropicale. Una specie di stanza delle necessità di Harry Potter. Fanculo, Landlady! Nelle successive tre notti permanevo in appartamento solo per dormire: una sola sera mi intrattenni in salotto per godermi un momento di meditazione a base di praline di cioccolato belga e birra alla ciliegia. Peccato che la degustazione fu accompagnata dai fetidi effluvi di aglioporro della zuppa di verdura che la Signora doveva aver consumato per cena. Roba al cui confronto il cavolfiore lesso odora di gelsomino. Prima di andare via, le lasciai anche un bigliettino di ringraziamento sulla carta intestata dello studio legale dove lavorava come segretaria. Chissà se avrà mai capito l’ironia…L’unico mezzo per raccontare quell’esperienza e non rovinare il ricordo di una città e una nazione bellissima, perfetta per gli epicurei. Ma, da allora, solo e rigorosamente hotel. O, quando troppo cari, appartamenti dove l’uso esclusivo è garantito. Adesso per fortuna so cosa e dove devo leggere prima di prenotare…

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