Caciocavallo impiccato, la golosa identità casearia del centro-sud
Se il generale francese Charles De Gaulle, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, si domandava come fosse possibile governare un paese con 246 varietà di formaggi, in Italia una biodiversità enogastronomica ben più corposa di quella d’Oltralpe non è mai stata un deterrente, bensì una risorsa su cui costruire una florida economia alimentare. Da nord a sud abbondano le produzioni zootecniche, che si trasformano sulla tavola dei consumi in innumerevoli quantità di salumi e formaggi. Se abbiamo parlato qui della geografia del salume nazionale, concentriamoci adesso sui derivati del latte. Risulta pleonastico ricordare che le principali produzioni di formaggio, industriale o artigianale che siano, si concentrano soprattutto nell’Italia Settentrionale, grazie all’abbondanza di pascoli estensivi nella Pianura Padana e alle praterie alpine che conferiscono le profumate e ricercate essenze aromatiche ai formaggi d’alpeggio. Ma il centro-sud, nonostante condizioni meno favorevoli per la caseificazione, non è da meno: qui i pastori, penalizzati da un latte povero di estratto secco e dal clima più caldo, hanno fatto di necessità virtù inventando la tecnica della pasta filata, ovvero la lavorazione artigianale della cagliata in acqua bollente. E partorito capolavori della gastronomia come la mozzarella di bufala, il fior di latte, la burrata, la provola affumicata e il caciocavallo, che oggi è conosciuto soprattutto in versione caciocavallo impiccato.
Il caciocavallo, re dei formaggi a pasta filata, non avrà la complessa struttura aromatica di un Parmigiano Reggiano Vacche Rosse 36 mesi o di un formaggio di malga a latte crudo, ma, soprattutto quando ottenuto da latte di mucche podoliche, si dimostra un prodotto di tutto rispetto che è riuscito ad ottenere il riconoscimento Dop e si è fatto apprezzare sulle tavole di tutta Italia. Il suo areale di produzione coincide grossomodo con quello dei salami realizzati senza conservanti, ovvero la dorsale appenninica centro-meridionale che parte dall’Abruzzo, attraversa il Molise, le province interne della Campania, la Basilicata e la Puglia Settentrionale, fino ad arrivare sugli altipiani calabresi della Sila. Nell’ultimo decennio, più per ideazione spontanea che per diffusione virale (sopraggiunta poi in un secondo momento), i produttori di caciocavallo hanno riproposto in salsa moderna un’antica usanza dei pastori durante la transumanza: spostandosi da un pascolo all’altro, il formaggio veniva trasportato sul dorso del cavallo (da qui il nome “caciocavallo“) e, durante le soste di ristoro, appeso ad un ramo che sovrastava una brace ardente senza che il formaggio venisse direttamente a contatto con i carboni. E’così che nasce il caciocavallo impiccato, oggi riproposto in tutte le sagre paesane dove la produzione di questa tipologia di formaggio è ben radicata.
Alzi la mano chi, grande o piccino chi sia, riesce a rimanere indifferente alla vista delle braci sormontate da una schiera di caciocavalli che, ben ancorati al loro cappio, ondeggiano a dieci centimetri dal fuoco sciogliendosi lentamente. Oltre ad essere gustosissimo, il caciocavallo impiccato regala una visuale scenografica che non può non catturare l’attenzione di chi non lo conosce. Non è un caso che ormai anche al nord abbiano imparato ad apprezzarlo e a riprodurlo, affiancandolo alle tradizionali fondute e raclette dell’identità gastronomica locale. Se vivete in appartamento e non avete la possibilità di realizzarlo a casa, una vacanza estiva al sud è il viatico migliore per assaggiarlo: qualsiasi festa paesana organizzata in un paesino dell’interno, dove trascorrere le serate è un ottimo rimedio contro la calura della costa, ospiterà sicuramente un banchetto di caciocavallo impiccato. Difficile invece trovarlo nei ristoranti, specie per ragioni logistiche. Non manca invece negli agriturismi più attrezzati, soprattutto nelle località appenniniche al confine tra Campania, Lazio e Molise. La Masseria Piccirillo di Caiazzo, la Falode sull’Altopiano del Matese o l’Acqua Bianca nel Parco Nazionale del Pollino sono gli indirizzi migliori. Per acquistare invece la materia prima, ottime referenze si trovano in Molise (in particolare ad Agnone, dove spiccano i caseifici Di Nucci e Di Pasquo), in Basilicata (Sapori dei Sassi a Matera, che attinge da piccoli produttori artigianali) e nella provincia di Avellino, dove le aziende “Carmasciando” di Guardia Lombardi e “Fattoria Savoia” di Roccabascerana hanno ricevuto prestigiosi premi del settore caseario.
Per preparare il caciocavallo impiccato a casa, avrete bisogno naturalmente di una brace a carbonella, di una catena, di un gancio ad esse e di un braccetto di sospensione per realizzare l’impiccagione. Scegliete un caciocavallo di breve stagionatura, dalla pasta morbida, più propensa a sciogliersi. Tenetelo a dieci centimetri dal fuoco e cominciate ad affettarlo progressivamente dal basso quando vedrete che la crosta comincerà a imbrunirsi. Spalmatelo su una bruschetta accompagnandolo, a vostro piacimento, a tartufo nero grattugiato o confettura di frutti di bosco. In alternativa, maritatelo ad una salsiccia paesana in un panino piastrato. I vostri sensi ringrazieranno!
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